CASSINI                                                  via Gian Domenico Cassini

 

TARGHE:

via Gian Domenico Cassini – astronomo – 1625-1712 – già via Manin

   angolo piazza N.Barabino

    angolo via L.Dottesio

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 da MVinzoni, 1757. In giallo la Fortezza; rosso villa del duca Spinola

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2747   CATEGORIA 2

                    

Dal Pagano/1961                                                       Da Google Earth 2007

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   13900

UNITÀ URBAMISTICA: 18 - s.BARTOLOMEO

CAP:   16149

PARROCCHIA:  s.Maria delle Grazie

STORIA:  non si conosce perché all’origine si chiamasse  “crosa delle  Catene“;  ma poiché tutta la zona fino al 1850 costituiva un quartiere (o ‘regione’)  pure lui chiamato ‘Catene’ (confinante ad est con quello della Coscia ed a ovest con quello di Crosa Larga; e compreso tra il fossato della Crocetta di N.S.della Vista ed il fossato di san Bartolomeo),  si può pensare che ambedue traessero il nome dallo stesso motivo. Unica interpretazione è desunta dall’esistenza della villa Spinola  san  Pietro, che fu  costruita al di  sopra  della  strada   principale  (allora detta semplicemente ‘comunale’, oggi via L.Dottesio) sulla quale si apriva con un bel giardino antistante ed un grosso portale; ma la proprietà terriera si estendeva prevalentemente oltre la strada, sino al mare. Questo vasto appezzamento di terreno, possedeva al centro una strada diritta che arrivava appunto sino alla spiaggia; e per impedire che questa stradina fosse di pubblico uso, soprattutto il transito dei carri di privati - essendo  coltivata ad orti, vigneti e frutteti di prima qualità -, fu chiusa agli estremi con una catena. Evidentemente - nella fantasia popolare - faceva più notizia la presenza di questo sbarramento che la suntuosa villa soprastante.

Potrebbe essere legato al nome di una famiglia Catena (come: via Bombrini o Ballaydier o DeMarini), ma appare improbabile  visto che anche W.Piastra.pag.135 del Dizionario Biografico non ne cita alcuna ligure con questo nome; non so dove Gri1lo-pag.309 l’abbia trovata per includerla nei nomi di persona.

   Nel 1843, alla pianificazione della ferrovia che avrebbe tagliato  trasversalmente tutti gli orti, i terreni degli Spinola cambiarono proprietario; rispetto la stradina centrale: quelli a ponente (estesi sino al fossato della Crocetta di N.S. della Vista) appaiono dei fratelli Derchi fu Antonio (sig. Giuseppe e sac. Emanuele, con un pozzo e la casa (o baracca) di Casanova Francesco al limite verso il mare); quelli a levante (sino al confine con la proprietà dei march. f.lli Pallavicino fu Domenico) di proprietà delle sig.re Gioannina Cambiaso e Geronima Carlotta sposata con l’avv. Cambiaso Carlo.

   In contemporanea - l’apertura della piazza N.Barabino - le mozzò il tratto finale verso il mare.

   Alla fine 1800-inizi 1900, venduti gli orti, la stradina appare già divenuta autonoma ed edificata con case erette nei bordi degli ex orti.

 Le venne dato dal Comune un nome ufficiale, dedicandola al patriota veneziano, ma non come via, ma come “piazza Manin, da via Vittorio Emanuele(ma probabilmente però potrebbe essere un errore del Novella); vi avevano casa dei Danovaro, Pittaluga, Timone, Carbone, Sanguineti, Bertorello (con ‘magazzeno scoperto’), G.De Andreis e Giacomo Casanova (forse figlio del Francesco su descritto; vedi anche sotto).

   Un “Piano d’ornato e di abbellimento del paese”, quale primitivo tentativo di Piano Regolatore stilato dall’arch. Angelo Scaniglia durante l’amministrazione GB Tubino nel 1852 circa, fu messo in atto trent’anni dopo. Quindi nel 1880 circa, tra le altre cose, fu ampliata questa strada che –popolarmente- veniva chiamata anche “strada NS della Vista” in quanto conduceva alla cappelletta omonima (vedi via Dottesio)

   Nel 1910 divenne (o lo era già da prima ma non in forma ufficiale) via Manin, e possedeva civici fino al 4 e 9.

   Divenne invece “via Daniele Manin” nel 1933 (quando via Dottesio era ancora via De Marini) .

   Fu cambiata la titolazione nel nome attuale con delibera del podestà, il 19 ago.1935, trovandosi p.za Manin ora a Castelletto, nel riordinamento delle vie della Grande Genova , onde evitare doppioni.

   Il Pagano/40 descrive: ‘da piazza N.Barabino a via Dottesio’; al 6 nero la SAG De Andreis G. casanova, lavor. Latta’; nei rossi al 15 la farmacia Bassano ed al 28 Montecuicco G. vini.

STRUTTURA:  strada comunale carrabile, senso unico viario da via L.Dottesio a piazza N.Barabino compreso il sottopasso ferroviario.

Civici neri fino al 5 ed il 10; rossi fino al 27 e 26. Lunga 100,96 metri, larga 4,45; ha due marciapiedi larghi 1,37.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

 

 

CIVICI

2007= NERI   = da 1 a 5

2             10 (mancano 2 e 6)

           ROSSI =  da 1 a 27 (compresi 1A→D, 3ABC, 5A,7A,9A)

                                2    30 (compresi 12 da A→F e N)

 

===civ.1: Nel 1950 vi aveva sede la ‘I.E.G.’ imprese elettriche generali,  produttrice e distributrice di elettricità. Fu demolito nel 1953 e ricostruito nello stesso anno

===civ. 2 e 6: furono soppressi nel febb.1970, perché demoliti.

===civ.3 anche esso, decorato a mascheroni dello stile tardi liberty, dava adito a qualche fabbrica, visto le finestre tipiche dell’uso, al primo piano. Ora è adibito ad abitazioni.  In tutta la facciata,  sono  due accessi affiancati che furono decorati con mascheroni e decorazioni, riuniti sotto una figura geometrica semiellittica: depongono per una costruzione dell’inizio secolo 1900. La decorazione però non ha nessun’altra attinenza con la restante facciata, lasciando presupporre o una personalizzata diversificazione di un negozio; o un portone decorato dopo da solo, in  edificio abitativo inizialmente ideato con due portoni; o un edificio completato posteriormente ma rimasto senza i mezzi finanziari per completare la decorazione.

 

              

civ. 3                                                       la facciata del palazzo De Andreis con scritta

===civ. 5 al primo piano erano ambulatori medici, di proprietà – dal 1970, comprati da Giuseppina Bertorello- della farmacia Bassano.

===Al 6 abitavano  (vedi sopra) ed avevano sede la “soc.an. Esercizio stabilimenti riuniti De Andreis-Casanovafabbrica, lavorazione e litografia della latta per inscatolamento e conservazione di pesci e conserve alimentari.

 


Alla prima esposizione internazionale realizzata in Italia, a Milano nel 1906 (in occasione dell’apertura della galleria del Sempione), l’azienda DeAndreis fu presente nel padiglione San Pier d’Arena: ebbe onori e particolare attenzione per lo stile geniale della sua arte litografica, dai colori vivaci e disegni di stile liberty riportati sia sulla latta che su barattoli portamercanzie.


Nel 1933 era ancora una delle 12 esistenti in città ma con produzione così dimunuita che fu costretta quasi a chiudere; nel 1942 (XX) aveva fattura intestata con “Esercizio Stabilimenti / G. De Andreis-G.Casanova / società anonima/capitale sociale lire 500.000/ Genova-Sampierdarena// ltografia su metalli/cartelli artistici/articoli per reclame // lavorazione della latta/scatole in genere/comuni e di lusso (nota- il timbro per quietanza ea “S.A.Esercizio Stabilimenti Riuniti” ed è firmata da G.Casanova. Comunque nel 1950 era una delle 13 ancora presente sul mercato. Lo stabilimento rimane dietro –a ponente- la fila di case che aggettano sulla strada, e nel 2005 appare ben ristrutturato: alto 5 piani, con conservate due ciminiere e con –sulla facciata- la grossa insegna in muratura).

I De Andreis abitavano in via G.Carducci (poi A.Cantore ove oggi il civ. 11) nell’angolo con via s.Bartolomeo del Fossato, in una villetta immersa tra gli alberi; presupponiamo quando nel 1935 fu costruito il piazzale dell’autostrada (che costrinse a spostare il piazzale verso ovest con invasione dell’antica strada e del fossato verso ponente (vedi ‘Camionale’)).

 

          

davanti al campanile le due ciminiere della ex-fabbrica;              fabbrica de Andreis vista

alla sua destra il tetto bianco di villa Spinola                                dal treno

===civ.4r nel 1941 esercitava la cartoleria-tipografia dei fratelli (uno era Oreste) Palmieri fu R.

===civ.5r la sede di una  “chiesa cristiana evangelica”

===civ 8:   palazzo dell’inizio 1900 di cui non si conosce l’architetto né la data di costruzione: la decorazione fu impostata usando elementi tardo liberty, più moderni, tipizzati da cornici curvilinee sopra le finestre, abbellite ed ingentilite da cordoni floreali .

===civ.12: il negozio di ferramenta Storace, che viene catalogato tra le botteghe storiche cittadine: l’apertura risale al 1922 e conserva i primitivi arredi degli anni 30: scaffali a muro con cassetti in legno, bancone rifasciato, bilancia in legno della ditta Grasso (antica ditta genovese, famosa per la precisione dei suoi attrezzi).

===civ.12r: L’antica entrata nello stabilimento DeAndreis che si apre ancor ora dietro la fila delle case; ha ospitato per anni la soc. DEPA,  che vendeva pezzi di cicambio di auto (ora trasferita in via Carpaneto). Al posto di quest’ultima nel 2004-7 esiste un silos auto di due piani, escluso il piano terra a mare che è occupato dalla soc. Gynnastic Club trasformata in negozio (12E rosso).

Nel retro dell’edificio, quindi a ponente di esso, uno stretto corridoio lo separa dal retro delle casupole presenti al civ.5 di via Palazzo della Fortezza; strada raggiungibile anche da una rientranza affiancata alla ferrovia, chiusa da cancello.

===civ. 12Cr  una targa segnala la sede del “Monstre Club”.

===civ. 14-16r il bar, che nel 1950 era di Biancardi V.

=== civ. 26r-30r: antica osteria Tubino, attuale bar.  In una città che ha sempre manifestato “voglia teatrale autonoma”, la bottiglieria ospitò dal 1922 per una trentina d’anni la prima discoteca locale: chiamata Sala Audizioni Montecucco (di Montecucco Giacomo, nato a Cassano Spinola, e residente a Genova dal 1920).


 Questo personaggio, grande entusiasta amante della musica classica lirica e sinfonica, era conosciuto nel mondo di quest’arte; amico di grandi autori  e di cantanti con i quali si ritraeva in foto con dedica appese alle pareti del locale,  aveva raccolto più di 12mila dischi, arricchendo ed aggiornando continuamente la collezione con acquisti in tutto il mondo, specie tramite le navi dagli Usa,  raccogliendo la migliore produzione mondiale, sia in senso tecnico che artistico (i dischi erano ancora quelli a 78 giri, letti dal grammofono con una puntina di acciaio, da doversi cambiare praticamente ad ogni suonata per non rovinare il solco rappresentavano,


praticamente tutte le romanze, sonate, pezzi d’opera conosciuti, e cantati o suonati dai più diversi artisti; alcuni di essi erano autentici gioielli di rarità ed antiquariato: sui giornali venne definito ‘l’apostolo del disco’; ed il locale ‘l’antro armonioso’, ’il regno di Euterpe’, ’l’osteria musicale’ divenne meta di visita dei più quotati artisti lirici in tournée a Genova). Così, nella saletta lunga e stretta ancor oggi esistente, con una passatoia centrale ed  i tavolini rotondi disposti ai lati  in un ipotetico loggione di sedie sparse, ospitava all’ascolto la popolazione e gli artisti, in quell’epoca in cui  il grammofono non era ancora un bene comune e l’audizione risultava l’unico svago lirico per tanti sampierdarenesi: serate dedicate ad un cantante, o ad un compositore, o ad un periodo musicale, con la migliore riproduzione,  attraverso un complesso di strumenti ancora regolato dalle valvole. Il titolare fu insignito di medaglia d’oro, quale benemerito della cultura musicale genovese.


 

 

 

 

 

 

 

 

Cessò la sua attività nel 1961 per ‘raggiunti limiti di età’, dopo 41 anni di lavoro nello stesso locale; tutto il materiale fu trasferito nell’abitazione in piazza N.Barabino civ. 10 ove offrì agli amici ed intimi i suoi concerti fino al decesso avvenuto nel 1972.


Nel campo della musica, Genova vantava in quei tempi il singolare primato di possedere le più ricche discoteche d’Italia (degli Zillichen, Gambino, Pittaluga);  ma  l’unica di cui potevano goderne tutti solo degustando del buon vino od un  caffè serviti nell‘ “intervallo”, e quindi la più conosciuta ed amata era quella del Montecucco, ove il buon Giacomo “eseguiva”  un concerto e faceva gustare la voce di Caruso o di Schipa, regolarmente due volte alla settimana, con autentica professionalità artistica e culturale .

===civ. 15r. Sull’angolo  del palazzo con via Dottesio, un insolito e caratteristico bassorilievo rappresenta in un ovale centrale (con due larghe  bande laterali a cartiglio)  una figura femminile, drappeggiata, con le braccia avvolte dalle spire di una serpe e reggente in mano una coppa;  elementi simbolici-decorativi  e di richiamo della vicina antichissima farmacia  Bassano: è quindi una insegna pubblicitaria,  tipica della fine dell’800. Facile l’attribuzione ad Ave Bassano, scultore e probabile parente del farmacista; anche se dal Pagano emerge l’esistenza di un altro Bassano, Luigi, scultore pure lui, residente nella strada.

Molto antico anche questo negozio, che si fa risalire al 1898. Prima di rinnovare tutto l’interno,  era gestito negli anni attorno al 1933 (la strada allora si chiamava via Manin)  dal dott. Bassano GB (con il cui  nome ancora nell’anno 2003 viene normalmente chiamata) ma che dal 19 dic.1951 era stata venduta al dr. Carlo Perasso (27.2.1911--9.12.1985) e rimase a lungo arredato con i mobili antichi, molto belli e caratteristici ma obsoleti ed inadeguati.

=== civ.***  il negozio di ottica-fotografia apparteneva a Zino Claudio, un valente sportivo figlio e fratello di sportivi sampierdarenesi.

===civ. 41r negli anni bellici (1941-XIX) c’era in attività l’elettricista – autorizzato OEG- Riganti Arturo, tel. 43.435

===civ.     ha per tanti anni ospitato una grande impresa di forniture per auto, chiamata DEPA, dal 2000 trasferita  in via GB Carpaneto.

Popolarmente nella strada vengono ricordati sia una tipografia Palmieri; sia il negozio di rivendita di granaglie il cui proprietario fu organizzatore di una società sciistica locale chiamata (anni 1970) 3G;  sia dell’abitazione di una Serafina che per il figlio, chiamato Checco u panetté: a quei tempi in cui non esisteva l’illuminazione civica,  per il suo rientro che lavorava di notte, lasciava un lume acceso indicativo di dov’era la casa; ne nacquero le prime rime di un modesto ritornello popolare cantato da un chansonnier locale (“o Baccicin vattene a cà, te moae a t’aspeta, e t’a lasciou o lumme in ta scaa, e a porta averta…”), che poi il famoso cantante Mario Cappello assieme ad Attilio Margotti (quelli del ‘Ma se ghe penso’) completarono in una canzoncina che divenne assai famosa e che inizia appunto con quelle parole.

 

DEDICATA  all’astronomo imperiese, nato a Perinaldo, Ventimiglia (allora compreso nella contea di Nizza;  ora nella valle Crosia della provincia di Imperia; a 572 m. slm, primo contrafforte delle Alpi Marittime salendo da Bordighera. C’è casa con lapide, biblioteca e museo di strumenti astronomici: Michero sottolinea che la chiesa romanica dedica a alla Madonna del Poggio Reale è stata collocata sul punto di passaggio del meridiano),  il 8 giugno 1625 da Giacomo (aver dato al figlio la possibilità di studiare, significa che non era di umile origine; in più, abitando in una casa con cinquanta stanze; presumibilmente corrisponde ad un gentiluomo locale – nobile quindi -  dipendente dal marchesato di Dolceacqua) e da Giulia Crovesi, primogenito di nove (otto, scrive Michero) fratelli.

Uno zio materno, gesuita e dilettante astronomo, curò le sue prime e precossime capacità culturali, soprattutto - a quell’età - quelle poetiche (in latino: pubblicò nel 1646, a 21 anni una raccolta di poesie latine: faceva parte dell’insegnamento di allora,  esprimersi in versi e, per i colti, nell’antica lingua).

Quindicenne, venne inviato – come consuetudine tra i nobili della riviera - a studiare a Genova, presso i Gesuiti, ove insegnavano teologia, etica, diritto civile; ma lui amando preferibilmente la poesia e l’astrologia, e – di quest’ultima - specie quella mirata alla giustizia ed all’arte indiziaria o divinatrice (essa era una scienza ‘in espansione’ il cui abuso portò a interpretazioni assurde. Un anatema fu lanciato anche da Pico della Mirandola, dichiarandola  “falsa scienza”, perché era arrivata a pretendere di divinare il futuro degli uomini con precisi oroscopi. Queste controversie fermarono gli iniziali ardori del giovane verso questa disciplina, che però tanto lo appassionava: gli astrologi erano assai spesso interpellati alla stregua degli antichi oracoli capaci di predire il futuro attraverso il movimento degli astri).

Conclusi gli studi venticinquenne, nel 1650, fu proprio in quella veste, di matematico, geometra ed astronomo, che gli venne proposto di trasferirsi a Bologna, allora città seconda solo a Roma per cultura e abitanti; due avvenimenti vengono narrati come decisivi per questo trasferimento:

(fonte a)= ‘sponsorizzato’ dal  marchese Cornelio Malvasia (1603-1644; anche lui infatuato astrologo; senatore bolognese; generale d’artiglieria; possessore di un castello a Panzano presso Modena, circondato a 180 ubertosi poderi. Egli lo aveva conosciuto nel 1648 quando il Nostro aveva appena 23 anni, e ne aveva intuito la genialità: lo aveva voluto includere nella propria specola, confermando così sia il primo istintivo giudizio).

(fonte b)= era stato interpellato per predire come sarebbe finita la guerra tra il papa (Innocenzo X) ed il duca di Parma Ranuccio II  Farnese: lui predì che il comandante le truppe pontificie – il genovese Ottaviano Solio – avrebbe vinto: e così avvenne generando ammirazione  e consensi.

Il  Senato bolognese accettò la sua immissione nella prestigiosa università.

(prima vera università italiana ed allora, la migliore del mondo; in particolare il Cassini fu interessato agli scritti di Pico della Mirandola il quale aveva scritto un trattato ’Contra astrologos’ che servì a ridimensionare i suoi ardori in materia divinatoria, dando invece un indirizzo più scientifico alle sue ricerche astronomiche.

Quindi, riavvicinato agli studi di astronomia, fu così prolifico che l’anno dopo 1651, il Senato di quella città gli affidò anche l’incarico universitario, prima, di astronomia (detta cattedra universitaria era divenuta vacante per la morte del famoso padre Bonaventura Cavalieri (1598?-1647), alunno di Benedetto Castelli, a sua volta allievo di Galilei; copernicano quindi, che aveva dettato le basi del calcolo infinitesimale). poi dall’anno dopo anche di matematica in quanto,  assieme al Malvasia, aveva studiato una cometa.

Nel valutare il suo lavoro, non dobbiamo dimenticare da quali basi esso iniziò: i mezzi erano primitivi ed artigianali; più che cognizioni comuni, molte erano geniali intuizioni  personali; non da poco come ostacolo, era l’Inquisizione, pragmatica nelle sue decisioni. Il fatto che nella sua vita non ebbe guai (come invece Galilei), lo dovette sia alla sua indubbia ed innata capacità diplomatica, ma sopratutto all’aver espresso le sue idee mai discostandosi ufficialmente dalla concezione in atto, specie riguardo il sistema solare (Copernicano).

Come docente universitario, si protrasse per 61 anni, escluso l’anno 1665-6).

 

Tra i suoi primi lavori, si ricordano una opzione diplomatica tra Bologna e Ferrara circa lo sfruttamento del Po (leggi sotto); il progetto di risanamento dei terreni paludosi attorno al fiume Reno; il perfezionamento della meridiana (o meglio, eliometro) tra i colonnati della basilica di san Petronio  durante il suo ampliamento (migliorò el 1655 la meridiana che era già stata tracciata nel 1575 dal domenicano Egnazio Danti, 1536-1586, matematico del granduca di Toscana, predecessore di Cassini. Il Nostro la perfezionò ampliandola e ricorrendo ad artifici ingegnosi come far passare i raggi solari da un foro rotondo nel tetto permettendo la lettura tutto l’anno. Risolvette un grande dilemma  dell’astronomia di allora, il presunto ma non dimostrato rallentamento del sole d’estate (ché dura di più) ed il suo ingrandimento di diametro. Per due secoli permise ai bolognesi di conoscere l’ora; e regolare su essa il loro tempo); numerose  perizie  di  questioni  idrauliche (come nel 1656 il corso del fiume dell’Emilia-Romagna Reno, di 210 km.; la navigazione sulle acque del Chiana e del Po in qualità di Sovrintendente Generale delle Acque, da meritarsi gli elogi pure del Papa interessato alla disputa tra Bologna e Ferrara; in seguito gli affidò altri impegni sui corsi d’acqua e fortificazioni nello stato pontificio); studi di entomologia, sulla riproduzione degli insetti (mentre era in trasferta per i corsi d’acqua, notò e studiò gli imenotteri presenti nelle galle delle querce; allora si reputavano, dai tempi di Aristotele, spontanei e non soggetti a metamorfosi.  Cassini affermò che gli insetti non si generano dalla putredine dei tessuti ma da un uovo, e che poi subisce una trasformazione. Il concetto sarà ripreso poi ufficialmente da entomologi qualificati come Redi); sulla trasfusione del sangue (di cui fu pioniere-scopritore; il primato in Italia è attribuito a Geminiano Montanari nel 1667 in casa di Cassini; quest’ultimo riprese gli esperimenti usando due agnelli, coronati da consolanti successi –e dalle sue lettere spedite ad altri studiosi su questi esperimenti, si rilevano date anteriori a quelle del Montanari-); sulla costruzione di fortezze (nel 1663 ebbe da Alessandro VII la sovrintendenza del fortilizio ‘Urbano’ (da Urbano III) a nordest di Castelfranco Emilia, uno dei più poderosi e temuti dell’epoca; lo stesso a Perugia).

   Dedito soprattutto agli studi astronomici, perfezionò le tavole solari; misurò la parallasse del sole (problema ritenuto impossibile da Keplero e Bovillard); scoprì la rotazione (allora chiamata vertigine) di Marte, Venere e Giove (editò un libro nel 1668, sul frutto delle sue osservazioni, titolato “Le effemeridi dei satelliti di Giove”: per il solo pianeta Giove poi, il quotidiano controllo della posizione delle sue macchie fecero intuire la rotazione; e l’ombra dei satelliti fece definire il tempo di rotazione in 9h, 56’); scrisse un trattato su una cometa apparsa nel 1652 e seguita a Modena, e dei giudizi sul calendario indiano.  Si dilettò pure di umanistica, poesia latina e volgare; di fossili.

   Gli epistolari scientifici dimostrano come il nome di Cassini fosse noto universalmente al di qua ed al di là delle Alpi: allora era già membro della Royal Society di Londra e dell’Académie des Sciences di Parigi (nata nel 1666 per ordine dato dal re Sole, Luigi XIV su suggerimento del primo ministro JeanBaptiste Colbert (controllore generale alla corte di Luigi XIV, il Re Sole). Questi, era stato suggerito a sua volta dall’astronomo Picard. Tanti erano i pensatori invitati dall’Académie: Pascal, Racine, Molière, Fenelon.  Prima di ‘assumere’ Cassini, che allora aveva 40 anni e da 15 insegnava a Bologna, lo usò, dapprima, come socio corrispondente e poi nominò membro dell’Académie, volendolo fisso a Parigi. Allo scopo, Colbert usò astuzia per non contrastarsi col Papa Alessandro VII Chigi – e dopo il giu.1667, con Clemente IX Rospigliosi - che volevano il Nostro a Roma: nel 1669 Colbert  lo chiamò come diplomatico “in missione temporanea” per la quale ebbe l’assenso del Papa stesso e del Senato bolognese; una volta a Parigi gli offrì servigi tali per i quali quello se ne restò in Francia di ... sua volontà. E quest’ultima è verità, in quanto fu usato in senso inverso: venne in Italia per missioni temporanee, ma sempre se ne tornò a Parigi).

   Infatti una volta a Parigi, le circostanze favorirono che il breve periodo si trasformasse in definitivo, sia perché, colmato di onori e di cospicuo stipendio, allora valutato in livres, assunse nel 1673 la cittadinanza francese (anche se tutte le sue successive scoperte furono descritte in italiano e latino; sempre ebbe difficoltà col francese) ed anche perché nello stesso anno  sposò Geneviève Delaître,  ricca proprietaria di vasti beni a Thury. 

   Una volta divenuto ‘francese per sempre’ (ma parlava pressoché sempre in italiano, ma scriveva e relazionava in latino), fu organizzatore-fondatore del nuovo Osservatorio parigino, costruito secondo i suoi suggerimenti (e del quale il titolo di ‘direttore’ lo ebbero solo i discendenti): dotato di apparecchiature prodotte in Italia (con non poche polemiche con gli invidiosi locali); con esso scoprì la divisione in due parti, separate da uno spazio scuro oggi chiamato ‘divisione di Cassini’ costituita da una nube, dell’anello di Saturno (che da allora porta il suo nome) e la presenza di altri tre satelliti (che chiamò “ludovici” in onore al Re Sole: Dione, Rhea, Giapeto; il primo, Tethis, era già stato segnalato da  Huygens nel 1655. Oggi sappiamo che in totale sono 9).

   Divenne  Accademico di Francia, fu frequentemente ricevuto a corte, ricevette numerosi riconoscimenti ed onori, stimato come amico e consigliere del re il quale fece coniare una moneta con l’effige dello studioso e la scritta “Saturni satellites primum cogniti”.

   Nel proseguio, altrettanto  grandi risultati furono (collaborando con un suo assistente inviato a Caienna a 10mila km di distanza) la determinazione precisa della distanza tra la terra e Marte (il che permise conoscere subito le dimensioni delle orbite di tutti i pianeti) e tra terra-sole;  la misura dell’arco di meridiano che passa per la Specola di Parigi (il “meridiano di Francia”); le leggi della rotazione lunare; la spiegazione scientifica del fenomeno della luce zodiacale (1683); il completamento di una meridiana parigina (iniziata da altri 15 anni dopo quella sua bolognese, e mai completata).

   Scrisse numerose relazioni accademiche durante il soggiorno parigino, su numerosi rilievi astronomici, edite nelle “mémoires de l’Accadémie des sciences de Paris” che furono pubblicate postume, ed un libro di Memorie per la storia delle scienze .

   La Francia per merito suo imparò la costruzione dei pozzi -come in arte a Modena da secoli-, ma universalmente conosciuti col nome di ‘artesiani’ come se fossero nati nella regione di Artois.

   Nel 1695 tornò in Italia col figlio Giacomo suo assistente, visitando Perinaldo e Bologna (ove ‘avevano bisogno di lui’ per la meridiana, perché nel frattempo era stata abbassata la volta, chiuso il foro sul soffitto e falsato il livello del pavimento. Il pontefice Clemente XI Albani lo incaricò di fornire alla ‘Congregazione del Calendario’ i dati necessari a revisionare la riforma gregoriana per l’anno 1700: detta riforma prevedeva per quell’anno l’annullamento del 29 febbraio; e la data precisa era indispensabile per datare la Pasqua e le altre feste mobili. Per l’occasione Cassini si era portato dietro il nipote Giacomo Filippo Maraldi, figlio di Angela Caterina, sorella di GDomenico, e quindi anche lui di Perinaldo, e così bravo da essere chiamato a Parigi, allievo e astronomo dello zio).

   In vecchiaia -come Galilei- soffrì di irreparabile perdita progressiva della vista, senza però perdere la grinta della ricerca e della conversazione (in francese, latino, italiano).

   Morì  praticamente cieco, ultra ottasettenne,  a Parigi, il 14 settembre 1712 (alcune fonti dicono apr., altre nov.).

      Suoi errori scientifici comprendono l’aver negato una legge sulla gravità dei corpi (l’errore nacque dall’aver determinato, si chiama geodesia, la “grande meridiana di Francia” triangolando il territorio da Dunkerque a Perpignan; e su questi dati aver stilato nel 1668 la “carta Cassini”. Quest’ultima forniva valori, consacrati per buoni, che impedirono per dieci anni a Newton di formulare la sua legge sulla gravitazione perché “non gli concordavano i dati”. La verità fu accertata nel 1735 quando  la triangolazione fu effettuata ai due poli (Perù e Lapponia), accertando che la terra è ‘schiacciata’ – mentre per Cassini, per effetto centrifugo, doveva essere allungata – con ragione di Newton, anche se postuma per entrambi. Nonché la natura delle comete tanto studiate, considerate pianeti.

   Come omaggio allo scienziato, Parigi gli ha dedicato una grande strada, e sia Sanremo (nel 1860) e poi Genova (dal 1923) gli intitolarono i rispettivi licei.

   Suo figlio Giacomo (nato a Parigi nel 1677 e morto a Thury nel 1756: col padre prolungò la misurazione del meridiano da Parigi a Canigou e poi sino a Dunkerque, sostituendolo nella direzione dell’osservatorio); il nipote Cesare Francesco (nato a Thury nel 1714 e morto nel 1784, iniziò una completa descrizione topografica della Francia, che fu completata da suo figlio omonimo del Nostro); il pronipote Gian Domenico (1747-1845, pure lui divenuto direttore dell’osservatorio; durante la rivoluzione fu imprigionato e privato di ogni incarico pubblico perchè legato alla monarchia, ma Napoleone lo reintegrò nominandolo senatore e conte),  tutti seguirono la sua scienza e divennero valenti astronomi e geodeti nell’università parigina, proseguendo ed arricchendo le conoscenze aperte dall’avo, e formando la gloria della locale Accademia delle Scienze. La famiglia si estinse con Alessandro (figlio di G.Domenico, 1784-1832 , che si dedicò alla botanica divenendo anche magistrato e pari di Francia).

   Dai primi anni del 1990, a Perinaldo di Imperia (capitale degli astrofili), l’Osservatorio è intitolato a G.D.Cassini. Da esso viene seguita attentamente la sorte della sonda sottoscritta.

   Il 6 ottobre 1997 fu lanciata verso Saturno la sonda Cassini; regolarmente c’è arrivato ai primi di luglio 2004 entrandoci dapprima in orbita e poi rilasciando il modulo Huygens che è sceso sul satellite Titano. I rilievi dati dal modulo (passando vicino a Giove e Venere ha chiarito di esse situazioni a volte sconosciute e ritenute l’oopoisto) hanno chiarito la natura degli anelli composti dal 99% da acqua ghiacciata in continuo ondeggiamento ed  ‘inquinata’ da uno strano smog (ghiaccio nero) in un ambente a meno 90 sotto zero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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